Intervista a Francesca Monami

Foto ©Francesca Fabiani Tropeano

LA VITA CHE VORREI...
Con l’uscita, lo scorso 2 dicembre 2014, del nuovo lavoro discografico di Matteo Becucci, abbiamo fatto un inedito viaggio in sonorità nuove che ci hanno accompagnato in sette piccole storie che ruotano intorno al personaggio di Mery, colei che funge  da “fil rouge” nell’unire le sette tracce del disco in un immaginario intreccio di storie e vite che potremo approfondire con la successiva uscita del libro che dovrebbe, secondo le dichiarazioni di Matteo, intitolarsi “I sette giorni di Mery”.

Per questo lavoro Matteo si è avvalso non solo della collaborazione con musicisti di pregio, ma anche con un artista come Luca Masi per le illustrazioni del booklet e, per i testi, con autori come Kaballà e Francesca Monami.
 

Ed è proprio con quest’ultima che abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere in merito alla genesi del brano “La vita che vorrei” che porta appunto le firme Becucci/Monami nel libretto che accompagna il disco “TuttiQuantiMery”

Ma conosciamola un po’ attraverso la sua biografia…

Classe ‘81, poetessa e autrice di testi. Ha inoltre preso lezioni private di teatro per due anni. Collabora con Riccardo Galardini e altri musicisti. Da qualche tempo inizia a studiare seriamente chitarra e canto, con la speranza di poter eseguire lei stessa le sue canzoni. Ha scritto nel 2012 una commedia in vernacolo fiorentino, seguendo le orme del nonno attore, dal titolo: "Amore di chi tu sei?".

Ciao Francesca, grazie di aver accettato questo incontro. Dunque, dalla tua biografia apprendiamo che la tua passione per il teatro, la musica e la letteratura nasce da tuo nonno Alvaro Focardi, uno dei più importanti attori della commedia in vernacolo fiorentino. Fin da piccola componi racconti, poesie e canzoni. 

D.: -Quali sono i ricordi legati alla tua prima poesia?

R.: Si perdono nella notte dei tempi. Le prime poesie sono scritte sui diari di scuola al posto dei compiti per casa. E non sapevo neanche fossero poesie; per me erano pensieri, parole gettate al vento, per un bisogno innato di esternare i miei sentimenti.

Facciamo una piccola provocazione…

D.: - "Per scrivere in prosa bisogna avere assolutamente qualcosa da dire. Per scrivere in versi non è indispensabile."
Qual è la tua opinione rispetto al pensiero espresso dalla poetessa Louise-Victorine Ackermann Choquet? Che cosa esprimono i tuoi versi in genere?

R.: Per me la poesia è un mezzo di comunicazione. La poesia è comunicazione. Non scrivo una poesia se non ho assolutamente qualcosa da dire. Così vale per le canzoni.

Hai da poco presentato al pubblico la tua terza raccolta, una silloge, dal titolo "I sogni possono aspettare", che giunge dopo i precedenti lavori, “Fuoco d’acqua” (2011) e “In quiete” (2013) tutti della Ibiskos Editrice Risolo

D.: - Quali sono i sogni che possono aspettare e soprattutto perché o cosa devono aspettare?
 

R.: Il titolo è una sorta di provocazione e nello stesso tempo di esortazione. Io sono un tipo impulsivo e vorrei "tutto e subito". Ma nella vita come dice Fossati: "..c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare". Chiedo ai sogni di avere quella pazienza che io non ho.

Foto ©Rose Vitolo

Un po’ ci ricorda  “C’è un tempo per tutte le cose” che canta Matteo nella sua “Era Di Maggio” allora!

D.: - Dunque parlando di “aspettare”, c’è una lirica nei tuoi cassetti che non hai ancora trovato il coraggio di regalare al mondo, di cui liberarti? 

R.: Le parole che scrivo solitamente trovano il modo di uscire dai cassetti. Come poesie, come canzoni o come racconti. L’unica cosa che ho nel cassetto e' un romanzo scritto a 4 mani con la mia amica di sempre Valentina Torrini. Si intitola "Marlene"…

Hai collaborato con diversi artisti nel campo musicale, tra cui anche Giovanni Nuti. Veniamo però al tuo incontro con Matteo Becucci. 

D.: - Come è nata questa collaborazione per quella che è poi diventata la traccia #3 del suo nuovo disco "TuttiQuantiMery"?

R.: Ecco citato l'anello che congiunge me a Matteo, ovvero Giovanni Nuti. Un giorno di qualche anno fa Giovanni regalò il mio primo libro a Matteo: “Fuoco d'acqua”. Dopo poco ricevetti una sua chiamata. Era rimasto colpito dalla poesia "La vita che vorrei". Da lì cominciò la nostra collaborazione…

Ne "La vita che vorrei", che è appunto la lirica musicata da Matteo, ci sono immagini che evocano un conflitto tra il desiderio di una nuova vita e qualcosa che ci tiene legati e ci impedisce di ottenerla.
Tuttavia…
 
 

D.: Tu definisci questo legame con la metafora delle "manette di cartone".           Che cosa rappresentano, in sintesi,  queste manette per te?

R.: ...le manette di cartone sono un'utopia e sono quello a cui io aspiro. Un legame, d'amore o di amicizia, che però non faccia male. Il cartone e' leggero. Non è un mezzo di contenzione. Se indossi manette di cartone sei tu che scegli di legarti e questa per me è libertà.

Sempre in questa traccia viene evocato un amico gradito ("e tu, amico mio, così gradito, così inaspettato sei qui".) Tra l'altro tu hai un cognome, Monami, che se scomposto in Mon Ami  corrisponderebbe a "il mio amico" detto in  lingua francese!                                                                                                    

D.: …allora svelaci...chi è, nel tuo immaginario, questo amico?

R.: È un caro amico, il mio ex chitarrista del gruppo vocale Jazzy Voice. Si chiama Giuliano e nel periodo in cui è nata la vita che vorrei lui mi è stato molto vicino, con tatto e discrezione. Una presenza inaspettata perché all'epoca c'era feeling ma non eravamo così uniti.           

Bene, siamo giunti alla fine di questo piacevole incontro, ringraziamo Francesca per gli approfondimenti che ha condiviso con noi e vi invitiamo a scoprire le sue opere disponibili nello store Ibs.it

Ci congediamo  con un saluto e un in bocca al lupo per la tua carriera artistica augurandoci anche di trovare presto sugli scaffali quel romanzo dal titolo “Marlene””! Se vuoi aggiungere altro…a te, che in quanto poetessa ne sai far ottimo uso, la parola…

R.: …beh sì dimenticavo, da poco ho un nome d'arte. Mi chiamo Luce. Una grande artista mi ha chiamata così la prima volta. Mi è piaciuto e l'ho fatto mio. La ringrazio anzi per la sua musica bellissima e il coraggio che mi da di continuare a "sognare". 


Trovate Francesca Monami/Luce a questi contatti:
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